Padre pio

Mentre Oscar mani di fata promette di elargire favori a tutti i presenti qualora la rapina di domani mattina dovesse andare a buon fine, Maurizio, un signore livornese composto e dai capelli bianchi, si mette a ridere prenotando un posto al ristorante in tal caso. Anche lui vive in strada da un pezzo. Da quando ha venduto tutti i suoi averi per poter curare il figlio in una clinica privata a Houston. Suo figlio era affetto da una forma particolarmente grave di leucemia, contratta dopo aver partecipato ad una missione militare in Bosnia. Il signore in questione aveva, all'epoca, molte conoscenze nella sfera politica toscana e nazionale dei DS, essendo stato assessore al comune di Pisa. Un alto funzionario della regione Toscana gli promise in nome della carica che ricopriva e della lunga amicizia che li legava che la Regione avrebbe finanziato le spese per le cure. Lui non se lo fece ripetere due volte, vendette tutti i suoi averi e le case per far operare il figlio negli U.S.A. L'operazione non riuscì e dopo alcuni mesi tornarono in Italia. Quando si presentò alla sede della regione a Firenze, gli venne consegnata dallo stesso una busta chiusa, con dentro un assegno. Con le lacrime agli occhi ringraziò in ogni modo l'amico che tanto si era prodigato per lui. Erano lacrime calde, erano lacrime di un padre che aveva venduto tutto per salvare il figlio, e che adesso con quei soldi poteva giocarsi una seconda carta, per non far morire la speranza. Non aprì la busta fin quando arrivò in albergo. Seduto sul letto gli occhi piantati sugli zero dell'importo dell'assegno, uno spasmo gli attraversò i muscoli del corpo, strinse il morso fino a spezzare i denti e con il sangue negli occhi corse di nuovo da quell'infame che gli aveva rimborsato la bellezza dell'equivalente del biglietto di andata e ritorno in aereo per una persona da Firenze a Houston. L'avrebbe ammazzato se non l'avessero fermato in tempo. Quella busta era un'ingiuria, una coltellata alle spalle ad un uomo rimasto impotente, privato di tutto, in attesa di vedere il figlio morire.


Si trasferì a Roma poco dopo, per seguire il figlio ricoverato al Policlinico. Finiti gli ultimi risparmi conobbe la strada e la disperazione. Poi i primi traffici. Vendere per conto di altri statuine di santi e rosari in piazza S.Pietro i giorni delle canonizzazioni dei santi. Gli affari iniziarono ad andare bene, si contavano i milioni, poteva risistemarsi. Decise di rischiare. Investì tutto quello che aveva guadagnato in un anno per un ultimo banchetto. Era il giorno della beatificazione di padre Pio. Comprò ogni tipo di cose. Rosari, catenine, medaglie, bracciali, oro, argento, statuette. Alle nove di mattina aveva già venduto quasi tutto. La folla divorava i suoi prodotti, aveva le tasche piene di folti mazzi di banconote da cento. Non riusciva a star dietro a tutte le mani che lo tiravano da una parte all'altra chiedendogli il prezzo, ha una busta? Rossi sono finiti? Quanti carati? Tenga il resto. Me ne dia altri venti. No grazie, solo d'argento. Gli suonò un paio di volte il telefonino, vide che era la sua compagna a chiamarlo e non stette a rispondere per non perdere tempo coi clienti, "la richiamo dopo", pensò. Alla terza chiamata si chiese se non era il caso di sentire cosa stava accadendo. Il pensiero corse immediatamente al figlio ancora ricoverato in ospedale, forse una grave ricaduta. Ma in quello stesso momento, alzando lo sguardo, con in mano il cellulare che continuava a suonare, vide farsi largo dritto davanti a lui, tra la folla, una pattuglia di finanzieri che avanzavano risoluti verso la sua bancarella. Impotente, mandò giù un po' di saliva, allentò l'espressione del viso in una paresi e lasciò cadere le braccia e il telefonino.

La compagna aveva cercato di avvisarlo, gli voleva dire di chiudere tutto e andarsene al più presto, stava arrivando la finanza. L'aveva visto in televisione, da casa. Le telecamere di tutto il mondo si erano fermate sulla sua bancarella improvvisata e sul caos che vi ruotava intorno, gridando allo scandalo contro le speculazioni sul culto dei santi. I finanzieri non potevano non intervenire in mondovisione. Gli sequestrarono tutto. Aveva più di cento milioni in contanti nelle tasche. Confessò dicendo che erano tutti gli incassi delle vendite e così glieli sequestrano insieme a tutta la merce. Non aveva nessuna licenza per vendere quella roba. Le tasche erano di nuovo vuote. Poche settimane dopo il figlio morì. Da allora continua a vagare per Roma. Ogni tanto si interessa ancora di politica, legge molto i giornali. Ha iniziato a lavorare in un bar, dopo tanti mesi di totale smarrimento. Gli faccio i miei auguri.

Chiedo se ha visto gli altri, Gigi, Giancarlo e Carmelo. Mi dice di no. Sono due giorni che non si vedono in giro, pare che abbiano trovato una sistemazione in un centro di accoglienza un po' in periferia. Non si sa molto di più né lo si vuole sapere, rimossi, sembra che stiamo parlando di tre sconosciuti. La strada è anche questo. Non ha memoria, è una via senza nome, dall'oggi al domani riscrive i suoi passi e di chi cambia indirizzo non restano tracce, se non nei ricordi di pochi.
Ero tornato al primo binario per un saluto, non ho trovato nessuno.

[Tratto da "Roma senza fissa dimora", 15 gennaio 2005]

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