Prefazione

Un giornalismo umano, di Stefano Trasatti*

Due anni e mezzo prima di pubblicare Mamadou va a morire, Gabriele Del Grande aveva già scritto questo resoconto di viaggio nella Roma degli esclusi. Senza alcun mandato di case editrici o testate, lo aveva fatto così, a fondo perduto: per il suo interesse “sulle città nascoste”, ma certo anche per sperimentarsi su quel mestiere di giornalista che aveva già scelto come suo.

Il tema non era – e non è – di quelli che più suscitano l’interesse di chi fa i libri e i giornali. Anzi, era proprio l’ultimo dei soggetti che uno si sognerebbe di proporre: così ruvido, squallido, privo di storie edificanti e di appigli per fare spettacolo, il mondo dei senza dimora, di quelli che, “seduti al lati della strada, guardano la gente passare, come ai bordi di un fiume”, non era proprio sexy, come direbbero i guru della comunicazione. E infatti nessuno fino a oggi (tranne l’agenzia Redattore Sociale nel 2005), era mai stato interessato a pubblicare queste storie.

Alla scarsissima letteratura sull’emarginazione si aggiunge dunque questo réportage, importante anzitutto per un motivo: perché restituisce identità, storie e “corporeità” a chi, pur non avendole perdute, è come se non le avesse più. “Alcuni li riconosci da quanto sono trasandati, altri non lo diresti mai, sono vestiti bene, hanno il telefonino…”, scrive Del Grande. È questa la soglia dove si ferma la “città che esclude”: uno sguardo fugace che non vede e non osserva, non vuole osservare. E che tutt’al più chiama queste presenze con una parola diventata molto di moda: gli invisibili.

Ma là dove vivono, queste persone non lo sono affatto. In quella società che “riproduce fedelmente la società che l’ha esclusa”, la sola legge che vale è quella della forza, “gli individui sono in lotta l’uno contro l’altro, salvo temporanee e opportunistiche alleanze, pronti a tradirsi, a dimenticarsi e a farsi del male”. In quella società, soprattutto, c’è tanta solitudine, una “solitudine estrema” squarciata o perfino aggravata da racconti, lacrime, recriminazioni, tenerezze e orgogli feriti. Dai sentimenti e dalle parole che Del Grande ha raccolto e riportato in questo libro.

È rilevante parlare del metodo utilizzato dall’autore. Forse solo a 22 anni si può essere così incoscienti, in apparenza, da correre i rischi di un viaggio come questo. Ma il suo intento era evidentemente di fare un réportage “di testimonianza” che rispettasse le regole di ingaggio da egli stesso stabilite (e poi rese più rigide dalle circostanze): niente soldi, niente privilegi, nessuna copertura di operatori sociali, nessun contatto con la famiglia, non una toccata e fuga ma un tempo sufficientemente lungo per entrare nelle storie, nel clima della strada.

Un metodo professionale, tutt’altro che incosciente, in cui – ed è l’elemento da sottolineare – il narratore non si fa protagonista. La sua è una presenza leggera che non dà giudizi: sa di essere un intruso e anche per questo ha rispetto delle storie degli altri. Sa che quella non è casa sua.

Com’è diverso percorrere le strade e abitarle”, scriverà qualche giorno dopo tornando a Roma per iscriversi alla scuola di giornalismo. “La mia è soltanto una recita”, aveva ammesso con l’operatrice di un centro di accoglienza: “Tra qualche giorno tornerò a tutte le mie sicurezze (…)”.

Nemmeno io credo ai giochi di simulazione. Mai mi sono considerato la cavia di me stesso, né questo vuole essere una sorta di esperimento sociale. Semplicemente un’occasione di incontro, di presenza, di scambio”.

Questo libro, e l’esempio quotidiano di pochissimi altri, dimostrano che un giornalismo umano e del tutto privo di cinismo è possibile.

Stefano Trasatti
www.redattoresociale.it
1 ottobre 2009


*Stefano Trasatti è il direttore responsabile dell’Agenzia giornalistica on line Redattore Sociale che ha fondato nel 2001, prima testata quotidiana dedicata ai temi del disagio e dell’impegno sociale. Dal 1993 al 2000 è stato segretario nazionale del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza). Organizza dal 1994, presso la Comunità di Capodarco di Fermo, il seminario annuale di formazione per giornalisti Redattore Sociale (oltre 3.000 partecipanti nelle prime 15 edizioni)

No comments: