Le città invisibili

Nelle "Città invisibili" di Italo Calvino, Marco Polo racconta a Kublai Kan, imperatore dei Tartari, le mille città del suo impero, mille sfaccettature di una stessa irraggiungibile città, sovrapposte a memoria e divenire. Calvino amava contrapporre verità e punti di vista, così nel suo schedario incompiuto, all'immagine di ogni città corrisponde il suo negativo. Vale lo stesso per le nostre grandi metropoli, dove non v'è centro senza periferia.

La frontiera tra questi due luoghi si apre come una cerniera lungo i margini della società. Non sempre è una distanza geografica a definire il confine tra dentro e fuori, quanto piuttosto la lontananza dall'invisibile rete delle relazioni, familiari, affettive, sociali, economiche. Capita allora di trovare fazzoletti di periferia nei centri storici ed economici delle città: uomini e donne dormire lungo un marciapiede, tra i cartoni in una piazzetta, alla stazione dei treni o sopra un tram notturno, guardando correre la gente, come ai bordi di un fiume.

Per raccontare questa città, e la città nel suo insieme, ho vissuto e dormito per strada, a Roma, tra il 15 dicembre 2004 e il 3 gennaio 2005, ospite di alcuni dei suoi circa 6mila "inquilini".

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