Le botte

Ieri, finito di scrivere i miei appunti esco a comprare un boccone da mettere sotto ai denti per cena, pizza al taglio, tre etti. Ho un appuntamento con Giulia e Marcus alle dieci, così mentre aspetto cerco riparo dal caos della stazione, che è ormai divenuta la mia base, nel corridoio di vetri che c'è all'ingresso di Termini, tra la vetrina colorata di titoli della libreria Feltrinelli e la parete trasparente che dà sul piazzale dei bus. In quello stretto passaggio si respira un po' di lentezza, bene prezioso come l'ossigeno nella frenesia delle folle che qui si precipitano. Dopo poco faccio la conoscenza di Pino. L'ennesimo romano che esce di sera da solo, perché è solo, e va in cerca di senso, appagamento e potere avvicinando giovani ragazzi, nella speranza di trovarne uno che, avendo perso il treno, stia cercando un letto per la notte, caldo…

Poco dopo incontro invece un signore dagli occhi verdi, capello tra il nero e il brizzolato, un grosso naso aquilino, immerso in un lungo impermeabile scuro. Tunisino di origine, anche lui avendo perso il treno si trova a dormire all'addiaccio. Parliamo, gli spiego che faccio. É buffo come il tempo si dilati in certi momenti. Così dopo una giornata di isolamento, tra le folle, pochi minuti di calore umano bastano a scaldare di senso il tempo rimasto e ritrovare una momentanea gratificazione in quel semplice e antico gesto che è l'ascoltarsi e il parlare.
All'ora dell'appuntamento raggiungo Marcus e Giulia in una sala da tè a Trastevere, ad intingere farinosi biscottini fatti in casa dentro bianche tazze di aromi, gialle le pareti del locale. Insieme al tè ci si versa l'un l'altro parole e argomenti. Così svelo loro il mio desiderio da tempo sentito di ascoltare la strada, di conoscerla meglio, per poterla riconoscere e poi raccontare, per raccontare in fondo un punto di vista su questa città.

Verso le una sono già di ritorno qui a Termini. Decido di provare a dormire in un posto diverso da ieri, per guadagnare qualche ora in più di sonno senza il disturbo della polizia né delle pulizie. Così mi sistemo sotto il portico dell'incrocio tra via Volturno e Cavour, accanto al chiosco verde dei giornali, di fronte alle grigie saracinesche di negozi chiusi e sotto il riparo di grandi arcate all'ombra dei lampioni sulla strada. Rovistando tra i cartoni vuoti, ammucchiati a ridosso dell'uscita della metro A, ne trovo un paio buoni da usare come materassino, utili ad isolarsi dal gelo della strada e ad assorbire l'umidità e la condensa che si genera sotto il sacco con il calore del corpo. Alla mia sinistra c'è un'intera famiglia, scena ben rara da vedersi in strada, dove di solito si è tanti, ma soli.

Due signore anziane dai capelli grigi e la pelle di un'oliva rugosa, un uomo e una donna di mezza età, presumibilmente una coppia, tre ragazze, brune, ed un ragazzo castano, i figli. Vicini uno all'altro in un castello di materassi e cartone, sotto uno strato comune di coperte giallognole di lana a rubare un po' di tepore alla notte. Dall'altro lato un vecchietto sulla sessantina, basso, scola l'ultimo bicchiere prima della buonanotte, basso, un cappellino rosso di lana gli scende fino sul naso. Poco più avanti un uomo che già da due giorni vedo ancorato al suo riparo, non si alza nemmeno nel pomeriggio, in mezzo alla folla. Ha gli occhi sgranati di chi ha paura di dormire, bianche orbite sulla pelle nera del suo viso, barba e capelli incolti diventati oramai un tutt'uno come di stoppa. Nei paraggi alcuni fantasmi della notte fanno avanti e indietro perlopiù smarriti nei fumi dell'alcol e della paranoia, minacciando e imprecando contro chiunque incroci i loro passi. Mi addormento quasi subito, il sonno è tanto. Non so dire quando esattamente, ma dopo non molto riapro gli occhi, la vista appannata, il formicolio che mi corre su tutto il corpo. Sento gridare in una lingua masticata a denti stretti e a me incomprensibile. Tiro su la testa e vedo due corpi divincolarsi l'uno sull'altro in una improbabile lotta. Uno di loro è il vecchietto che mi dormiva vicino, l'altro un signore grassoccio, senza una gamba, sulla carrozzina, gli occhi piccoli, pochi capelli e una barba rossiccia. Questo salta giù dalla sedia addosso all'altro ancora sdraiato e gridandogli le sue minacce inizia a picchiarlo, pugni nel viso. Ancora continuo a non capire. Non so perché, ma sono convinto di essere a Monaco e trovo stranissimo che quei due parlino italiano, per quanto impastato. Sto a guardare, come in un film, senza realizzare dove sono e perché. Poco dopo arrivano due ragazze punk che sentendo le urla lasciano i loro cani e si precipitano a separare i due disgraziati, sgridandoli come bambini per quello che stanno facendo. Il ciccione si difende. Dice che l'altro gli ha portato via la coperta mentre si era appisolato un secondo e che ora non può più dormire per il freddo che fa. L'altro ribatte furioso. Non è mica vero, lui ha la sua di coperte, non sa nulla dell'altra. Dove stia la ragione non si capisce, fatto sta che arrampicatosi di nuovo sulla carrozzina l'uomo senza la gamba getta la sua ultima minaccia al vecchietto, per stanotte finisce lì per il rispetto che porta alle due ragazze, ma l'indomani stesso gli dà fuoco mentre dorme. Le due ragazze alla fine se ne vanno.

Sotto il portico nel frattempo tutti ci siamo svegliati per il gran casino e prima di riaddormentarci ci vuole un'altra mezz'ora. Ovvero il tempo necessario a fare sbollire la rabbia del tipo che, rimasto senza coperta, continua a fare avanti e indietro con la sua carrozzina minacciando di morte chiunque appoggi lo sguardo un secondo, anche solo per sbaglio, su di lui e sulla sua carrozzina.

La strada è anche e soprattutto questo. Violenza. Sulla strada non ci sono buone maniere e vige la legge del più forte. In fondo non è poi così lontano dalla cosiddetta società normale (ammesso che ve ne sia una anormale, o una sola). Competizione e sopraffazione sono nel migliore dei casi necessità e nel peggiore virtù. La strada in questo senso è specchio della società e ricrea le stesse dinamiche, acuendole perché i conflitti sono maggiori e maggiore è la divisione degli uni dagli altri. Non esiste comunità né amicizia, salvo eccezioni che confermano la regola. Esiste l'esigenza di sopravvivere e la sproporzione tra domanda e offerta dei servizi di aiuto alla persona, servizi che per come sono erogati tendono a dividere ulteriormente una popolazione già trincerata in una improbabile guerra tra i poveri.

Accade in Italia che diritti della persona come la casa, il lavoro e la cura siano divenuti privilegi concessi solo previa selezione dell'utenza, divisa in buoni e cattivi a seconda della provenienza o del tipo di diagnosi.

[ Tratto da "Roma senza fissa dimora", 19 dicembre 2004]

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