Tonno e piselli

Tornato a dormire, mi sveglio solo verso le sette alla luce del sole e al rumore di macchine e moto tornate a brucare la strada. Sorrido, è bello svegliarsi col sole. Non so che ore sono, non ho l'orologio, ma se è mattino vuol dire che ho dormito abbastanza. Scendo nei bagni a pagamento della stazione, al piano interrato, mi lavo mani, viso e denti. Settanta cents. Ne approfitto anche per scrivere una lettera di protesta alle ferrovie, che hanno fatto un business anche dei secreti dei loro viaggiatori, chi non paga non evacua…

Appena fuori dal bagno faccio il solito giro nei corridoi gialli del sottopassaggio e là incontro Makasi, il signore sulla carrozzella che stanotte ci ha tenuti tutti svegli con la sua sceneggiata. Se ne sta seduto in disparte, dietro il muretto a lato delle scale mobili che scendono giù alla metropolitana, vicino le cabine telefoniche. Mi avvicino, gli chiedo come sta, ha poi capito che fine abbia fatto la sua coperta? Prima mi fissa un po', in silenzio, come se non avesse capito. Poi, dopo una piccola riflessione, mi risponde secco che va tutto bene, che è solo colpa di quel vecchio, che gli ha rubato la coperta. Comunque stamattina hanno fatto pace. Detto questo mi torna a guardare, silenzioso, perplesso, aggrotta le sopracciglia e poi sbotta: Ma ti serve qualcosa? Che vuoi? Non voglio niente, solo capire come sta, tanto per dire una cosa e rompere il ghiaccio. Sulla strada questo non è bene accetto. Ognuno si fa gli affari suoi, mai infischiarsi nei problemi degli altri. In strada non c'è legge, tuttavia si ricrea una sorta di ordine gerarchico, una struttura di potere basata sulla violenza e di fronte alla quale hai due opzioni: accettarla oppure farti da parte, per non aggiungere ulteriori problemi a quelli che magari già hai. E siccome a volte problemi di questo tipo arrivano anche senza che uno se li vada a cercare, domina il sospetto verso chiunque. Lo saluto senza tanto insistere e me ne torno lungo i miei passi.

Passando sul primo binario incontro altri due vissuti lupi di mare. Uno, il più vecchio e sereno, ha una simpatica barba lunga, grigia degli anni ed incolta, jeans consumati di macchie, scarpe marrone e un berretto arancione con la visiera bianca di plastica. Il suo vicino, Biagio, veste in tinta col suo umore, marrone scuro il lungo piumino, rosso sanguigno il naso molliccio che spunta da una folta barba castana. Nelle mani nodose un cartone di vino di primo mattino. Una buona colazione per iniziare la giornata. Dopo essermi avvicinato chiedo loro consigli per potermi orientare un po' meglio tra le mense e le docce, perché i soldi iniziano a scarseggiare e l'igiene non è delle migliori. Biagio, all'inizio è molto gentile. Continuando a sorseggiare il suo bianco in bicchieri di plastica o direttamente dalla bottiglia, mi offre una scatoletta di tonno ai piselli che ha con sé nello zaino, e poi mi indirizza al centro d'ascolto Caritas, via Marsala centonove, dove posso fare richiesta per la mensa pomeridiana e serale gratuita. Ringrazio molto e prometto che l'indomani stesso ci andrò. Poi rimango un po' lì, seduto con loro. Raccolgo le energie positive con cui affacciarmi su questo mattino, e intanto scambio due idee con l'altro dei due, ho dimenticato il nome, che mi racconta del perché ha partecipato alla trasmissione di Italia Uno "Gli Invisibili" e mi spiega il perché del suo manifesto rifiuto della normalità in questo tipo di società, tradendosi però con accenti carichi di risentimento e ferite mai del tutto guarite, per un passato sofferto e una mano mai ricevuta. L'irriverenza e il rifiuto sono anch'essi una forma d'orgoglio ed insieme di debolezza. La nostra conversazione tuttavia si interrompe ben presto perché Biagio forse infastidito dalla mia curiosità, inizia a chiedermi che cosa ancora voglia da loro, non mi hanno già dato abbastanza? Le indicazioni per la Caritas, la scatoletta di tonno, che altro cerco? Possibile che non abbia niente di meglio da fare alle otto di mattina? Ascoltando quella voce mista di sospetto, paranoia e quella crosta di sale che cresce sulle ferite di chi è stato tradito, che ha perso la fiducia negli altri e che ha ridotto le relazioni al minimo del necessario, me ne vado in punta di piedi, saluto.

Prima di recarmi al mercato di Porta Portese, ripasso dal portico dove ho dormito stanotte, voglio vedere se c'è ancora quell'uomo che vedo da due giorni restare lì, sdraiato, immobile sul suo mucchio di stracci e cartoni, tremare. É ancora là, sotto la coperta marrone, dietro l'edicola rossa bordeaux. Con gli occhi sgranati fissa un punto oltre l'orizzonte che nessun altro oltre a lui può vedere, immobile, la bocca semiaperta ed asciutta, polverosi i capelli come di stoppa. Gli chiedo come sta perché l'ho visto non muoversi dal suo letto da due giorni e ho dormito lì vicino stanotte, così mi chiedo se non sia malato. Lo è. Gli chiedo se parla il francese. Oui. É venuto in Italia dal Ghana. A vederlo non ha più di trent'anni, fisico asciutto dalla febbre, sguardo attento e intelligente. Mi dice di essere malato, ha la febbre, tuttavia non è abbastanza grave per occupare un posto letto in un ospedale e per lui non sono riusciti a trovare sistemazione nei centri di accoglienza già pieni. Così battendo tremiti si protegge dal freddo sotto una coperta marrone, rosicando ciò che ogni tanto qualche passante mosso a pietà gli allunga per terra, come si fa con i cani. Comprensibilmente non ha alcuna voglia di parlare, mi ringrazia della disponibilità e torna a fissare quel punto oltre l'orizzonte a cui ha appeso lo sguardo e forse, per un tratto, un po' di speranza.

[ Tratto da "Roma senza fissa dimora", 19 dicembre 2004]

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