Come esuli pensieri stormi di uccelli neri

La mattina di oggi inizia, stranamente, con la colazione. Appena svegliato, verso le sette, trovo intorno a me gettati per terra come sporcizia panini imbustati al formaggio e merendine al cacao. Sono gli avanzi della ronda di ieri sera. Un gruppo di volontari della Croce Rossa italiana che presentatisi verso la mezza di ieri, incuranti del fatto che qua tutti già si dormisse, hanno passato una bella mezz'ora a vociare, tra loro, ad un passo da noi, sotto le scale.

Mangiato un panino filo al centro per le docce di via Farnese, zona Lepanto. Carini. Un posto accogliente. Ti servono la colazione: due mandarini, del latte, un caffé ed una fetta di panettone, su un vassoio marrone. Si aspetta in una saletta seduti, appoggiati su tavoli rossi. Insomma il tutto è dignitoso, e i bagni puliti. In compenso è deprimente sentire parlare chi ha assunto come problema vitale la cottura dei cibi della mensa, gli orari del centro diurno, le lenzuola del dormitorio, il compagno che russa e quell'altro che gli ha rifiutato le sigarette, Veltroni e Storace che offrono il pranzo a Natale. Fortunatamente una bella doccia, specie se fredda, l'acqua calda è finita, rinfresca e distende, anche da questi pensieri, almeno un minuto. Domani è Natale. Da giorni non ho contatti di nessun tipo con la famiglia e gli amici, non ho un centesimo in tasca.

Decido di prendere un cartone, vado vicino San Pietro, lungo viale Giulio Cesare, mi metto a sedere. Con una bic nera scrivo su quel cartone in quattro lingue, inglese, francese, arabo e italiano. Chiedo un aiuto per continuare il mio viaggio. Intanto siedo lì accanto, tranquillo. C'è il sole, leggo Dostoevskij, Delitto e castigo. Passano migliaia di turisti armati di macchine fotografiche, sciarpe e cappellini, sono diretti ai Musei Vaticani. Un fiume di gente scorre lungo l'argine sul quale mi sono seduto. Passa un'ora. Un ragazzo capellone con la barba rossa si ferma e mi dà due euro. Sessanta minuti all'internet point, a scrivere note di auguri, mail assonnate, mi si chiudono gli occhi sopra le virgole.

Faccio un giro davanti la stazione. Di Termini mi piacciono i pini la sera al tramonto, quando le nuvole si fanno scure e il cielo violetto e un po' grigio. Dai pini verdi salgono in alto stormi palpitanti di storni. A migliaia e milioni, neri, riempiono il cielo, si stagliano in aria, disegnano forme di spazi alati, punteggiati di neri sembrano a tratti precipitare, ceneri, per poi prontamente riprendere quota rimbalzando sul vuoto per volare più in alto. Cerchi di cielo si gonfiano come d'aria un pallone e poi si forano e si confondono e volano via. A volte mi fermo e li fisso a lungo, la testa all'insù e una mano sugli occhi, non si sa mai… Più tardi poi, quando il cielo è già quasi buio, arrivano folti i gabbiani. Decisamente più regali nel volo e più grandi nelle bianco grigiastre aperture d'ali, compongono cerchi, giocano forse a disegnare figure geometriche, si inseguono in danze amorose, raccontano fieri le avventure di pesca della giornata. Poi tutti insieme, quando ognuno è presente spariscono in pochi secondi dietro il frontone del tetto della stazione. Lassù da qualche parte riposano, fino a mattino.

[ Tratto da "Roma senza fissa dimora", 24 dicembre 2004]

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