
Mangiato un panino filo al centro per le docce di via Farnese, zona Lepanto. Carini. Un posto accogliente. Ti servono la colazione: due mandarini, del latte, un caffé ed una fetta di panettone, su un vassoio marrone. Si aspetta in una saletta seduti, appoggiati su tavoli rossi. Insomma il tutto è dignitoso, e i bagni puliti. In compenso è deprimente sentire parlare chi ha assunto come problema vitale la cottura dei cibi della mensa, gli orari del centro diurno, le lenzuola del dormitorio, il compagno che russa e quell'altro che gli ha rifiutato le sigarette, Veltroni e Storace che offrono il pranzo a Natale. Fortunatamente una bella doccia, specie se fredda, l'acqua calda è finita, rinfresca e distende, anche da questi pensieri, almeno un minuto. Domani è Natale. Da giorni non ho contatti di nessun tipo con la famiglia e gli amici, non ho un centesimo in tasca.
Decido di prendere un cartone, vado vicino San Pietro, lungo viale Giulio Cesare, mi metto a sedere. Con una bic nera scrivo su quel cartone in quattro lingue, inglese, francese, arabo e italiano. Chiedo un aiuto per continuare il mio viaggio. Intanto siedo lì accanto, tranquillo. C'è il sole, leggo Dostoevskij, Delitto e castigo. Passano migliaia di turisti armati di macchine fotografiche, sciarpe e cappellini, sono diretti ai Musei Vaticani. Un fiume di gente scorre lungo l'argine sul quale mi sono seduto. Passa un'ora. Un ragazzo capellone con la barba rossa si ferma e mi dà due euro. Sessanta minuti all'internet point, a scrivere note di auguri, mail assonnate, mi si chiudono gli occhi sopra le virgole.
Faccio un giro davanti la stazione. Di Termini mi piacciono i pini la sera al tramonto, quando le nuvole si fanno scure e il cielo violetto e un po' grigio. Dai pini verdi salgono in alto stormi palpitanti di storni. A migliaia e milioni, neri, riempiono il cielo, si stagliano in aria, disegnano forme di spazi alati, punteggiati di neri sembrano a tratti precipitare, ceneri, per poi prontamente riprendere quota rimbalzando sul vuoto per volare più in alto. Cerchi di cielo si gonfiano come d'aria un pallone e poi si forano e si confondono e volano via. A volte mi fermo e li fisso a lungo, la testa all'insù e una mano sugli occhi, non si sa mai… Più tardi poi, quando il cielo è già quasi buio, arrivano folti i gabbiani. Decisamente più regali nel volo e più grandi nelle bianco grigiastre aperture d'ali, compongono cerchi, giocano forse a disegnare figure geometriche, si inseguono in danze amorose, raccontano fieri le avventure di pesca della giornata. Poi tutti insieme, quando ognuno è presente spariscono in pochi secondi dietro il frontone del tetto della stazione. Lassù da qualche parte riposano, fino a mattino.
[ Tratto da "Roma senza fissa dimora", 24 dicembre 2004]
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