Ghost


Più tardi passa dal primo binario Andreji. Andreji è polacco. Cracovia est. Non più di trentacinque i suoi anni. Biondo, capelli lisci. Il volto tumefatto. Colpi di rosso e di nero, graffi, croste e ematomi. Vestito elegante. Da qualche giorno aveva iniziato a lavorare come parcheggiatore, abusivo, ma onesto comunque. Alle belle donne non ha mai fatto pagare, sottolinea, mi ricordavano mia moglie, a loro un omaggio. Ieri mattina però il danno e la beffa. Alle 10:00, in pieno giorno, in mezzo alla strada, un gruppo di rumeni si è presentato a riscuotere il conto. Quel parcheggio è sempre stato sotto la loro gestione e lo avevano già avvertito una volta di fare altrove i parcheggi. Così sono venuti a farsi giustizia da soli con la sola legge che vale per strada, la forza. Un gruppo di otto gli si è scaraventato addosso e senza che avesse tempo nemmeno di alzare la voce, si è ritrovato per terra a contare i calci e a sputare sangue sopra l'asfalto. Adesso si è procurato un coltello lungo una spanna. Giura che ha imparato la lezione e che la prossima volta non starà a guardare, né si farà scrupolo di colpire.

D'un tratto la rabbia svanisce dal suo viso tumefatto come una nuvola nera dal cielo, e lascia il posto a una lacrima. Andreji ha messo le cuffie del walkman e chiusi gli occhi canticchia dondolandosi molle sulle gambe, si muove su una canzone d'amore. Mi sorride, poi mi passa uno dei due auricolari. Legati da un filo e una nota, riconosco Ghost, la colonna sonora dell'omonimo film. Anch'io chiudo un attimo gli occhi, quando li riapro vedo Andreji, fissa un treno al di là del binario, il labbro inferiore ha preso a tremargli, gli scendono rivoli di lacrime calde dagli occhi. Senza guardare nessuno ci dice che da quando due anni e mezzo fa è morta sua moglie lui non ha più fatto più l'amore. Vuole ancora lei. Vuole solo lei, ma non si può fare l'amore con una donna già morta, con una donna che esiste solo nei ricordi e nel cuore, senza più un corpo per toccarla e coprirla di baci.

Andreji è figlio di una donna polacca e un funzionario dell'Ambasciata Spagnola in Polonia, che la abbandonò subito dopo sua la nascita. Andreji in Polonia era sistemato, aveva una vita felice. Così mi dice mentre mi mostra un album fotografico che porta stretto con sé. Era proprietario di un ristorante, e abitava in un appartamento a Cracovia con la moglie e la figlia. Mi passa le foto. La moglie era una donna bellissima, occhi un po' stretti, verdi, lineamenti del viso sottili, castana. E poi la bambina, quattro anni, un sorriso come ritratto. Quel giorno, sono passati ormai due anni e mezzo, Andreji stava andando a Bonn, in Germania, per lavoro. Stava guidando quando ricevette la telefonata sul cellulare. Sua madre le diceva di un incidente, la voce le si spezzava in un pianto e tra i cocci dei singhiozzi diceva che sì, la moglie e la bimba… non ce l'avevano fatta.

Fu una pugnalata ai polmoni, un'emorragia di dolore. Tutto era perso. Che rimaneva? Senza nemmeno riagganciare buttò il telefono dal finestrino e con la vista annebbiata da un rivolo di lacrime, fece inversione a U per tornare a Cracovia. Il primo mese fu un tormento. Non proferiva parola, passava le giornate da solo, era diventato irascibile e aveva smesso di andare al lavoro. Alla fine ha mandato tutto e tutti a puttane, è scappato in Italia, forse a cercare la protezione di un suo connazionale, Wojtila, a capo della religione in cui Andreji continua a credere, forse la sola cosa questa che gli è rimasta da allora. Lacrime e coltelli.

[ Tratto da "Roma senza fissa dimora", 28 dicembre 2004]

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