Il gigante buono

La penna ancora tra le dita, deposito in magazzini di carta pensieri e emozioni, in modo più o meno ordinato. Mi piace questo stile di vita. No, non dico il dormire all'addiaccio, no. Parlo dello spirito di ricerca. Parlo del viaggiare sempre con un taccuino e una bic nella tasca pronto a prendere appunti. Schizzi. Parlo di spremere i giorni come limoni ogni sera, con cura e, scansati i semi, versarne un bicchiere negli inchiostri di china, per dare sapore alle parole.

Ieri, appena uscito dal bar dove vengo al mattino a scrivere di me, mi presento al centro vincenziano di via Farnese. Colazione, doccia e cambio di biancheria. Bianca. Mentre mangio panettone e mandarini, scansando sul vassoio marrone le bucce arancione, conosco Gaetano. Palermo. Un gigante buono. É alto almeno un metro e novanta per un centinaio di chili, barba e capelli rasati a zero ogni giorno. Profuma di acqua di rose e di dopobarba. Il suo viso di mare pare scolpito su marmo, inespressivo, non lascia trasparire alcuna emozione, gli occhi semichiusi, la fronte corrugata e una costante attenzione. Sotto le palpebre gli iridi verde-marrone girano e oscillano, destra, sinistra, tengono sotto controllo la sala. É il suo turno per la doccia. Si alza. Spalanca gli occhi, la bocca gli si piega un momento all'ingiù. Si ricompone, con gli occhi stretti si reca all'ingresso, chiude la porta e chiama con tono pacato l'operatrice. A voce bassa, ma udibile a tutti i presenti, le dice che nessuno esce dal centro finché non salta fuori il suo ombrellino nero. Silenzio. La tensione inizia a salire, quando improvvisamente una ragazza dalla bocca larga e i denti ingialliti inizia ad agitare le labbra ripassate di tempera rossa come una rana. Ride, l'ombrello è proprio lì sulla sedia su cui era seduto fino al momento prima. Ah! Ah ah! Ah ah! Bene. Gaetano lo prende e fila dritto in doccia.

La sera lo incontro di nuovo in stazione, parliamo, mentre insieme s'aspetta che arrivino i volontari con i loro, nostri, panini. Gaetano ha quarantadue anni. É un uomo preciso, è un uomo d'onore. Ci tiene a precisarlo e me lo ripete più volte. É arrivato a Roma esule dalla cara Sicilia tre anni fa. Come non lo so. Mentre abbassa la testa alzando lo sguardo su di me, gira in aria l'indice della mano destra e scandendo le sillabe mi dice che non ha mai poggiato la testa su un cartone, e che non può farlo. Se lo vedesse un conoscente, uno di Palermo, il mondo è piccolo. Se si venisse a sapere in Sicilia che lui a Roma fa questa vita… Dorme a Orte, nella sala d'attesa dei treni. Oppure a Fiumicino all'Aeroporto. Là si sta al caldo, il posto è tranquillo e non ci sono problemi, può restare tutta la notte e nessuno lo caccia per strada. E se qualcuno lo vede può sempre dire che ha perso il treno quella notte, imprecando contro la sfortuna del caso. Non porta valigie con sé, né borse o sacchetti. Meglio non destare sospetti. Tanto lui non si cambia i vestiti, li butta. Ogni giorno una doccia, ogni cambio un cestino. Con sé ha solo gli abiti che ha indosso e la denuncia di smarrimento della sua carta d'identità. Si chiede se non abbia smarrito anche il suo passato con quel documento. "Sono solo", dice poggiando lo sguardo lungo l'orizzonte dei binari, con voce tra il tenero e il burbero, rotta da rabbia e da un pianto trattenuto a fatica. Lungo respiro. I genitori sono morti, a casa ha problemi con il fratello, poliziotto. Ha passato cinque anni in carcere, mi chiede se so quanto è tiranna la vita. Poi accennando un sorriso, come per scusarsi della confidenza, inizia a cantare in falsetto canzoni napoletane di fama meridionale. Sorride. D'estate va al mare, fa la stagione a Tor Vaianica. Lavora di notte come guardiano nel parcheggio di un ristorante sulla spiaggia. Guadagna bene, cinquanta sessanta euro a sera. Poi però anche lui ha i suoi vizi, mi spiega. Beve, fuma e soprattutto pippa di coca. Solo d'estate, quando ha i soldi e può permetterselo. Poi ritorna l'inverno con i suoi freddi non sensi di grigio spessore. Vende anche il fumo, d'estate al mare. Però lo vende con rispetto. Sottolinea. Lui regala al cliente una canna ogni volta. Perché chi lo vende a lui gli porta rispetto , a lui lo rispettano siccome. E allora se compra per esempio cento euro di fumo gli danno in regalo un pezzetto così in più. Lui lo taglia in tanti tronchetti e ne regala uno ad ogni cliente. Lui sa trattare con il cliente, gli porta rispetto, e i clienti rispettano lui.

[ Tratto da "Roma senza fissa dimora", 28 dicembre 2004]

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