L'abbuffata

Quando è Natale è Natale anche per strada, per lo meno al mattino, quando la giornata è ancora fresca come l'aria del primo tiepido sole, e la città sonnecchia, finalmente calma. Allora ci si può permettere di essere un po' più socievoli e di ricreare un clima di normalità, di fiducia, di socialità più leggera e insieme un po' folle, dato che proprio le feste sono i momenti peggiori quando si è soli. Si prova ad essere più carini, ci si sente un po' più tranquilli, o almeno lo si vuole pensare. Ho appena finito di scrivere i miei quotidiani pensieri su righe di carta e passeggio lungo il primo binario, senza una meta, giusto per scaldare le suole e la mente. Penso. Incontro seduto sulla solita panchina, credo gli appartenga di diritto oramai, un tale Carmelo, metà milanese e metà siciliano. L'ho già visto più volte seduto al solito posto sul primo binario, ci salutiamo, i soliti auguri, due chiacchiere e un po' di pandoro. Fa piacere iniziare la giornata in un modo socievole, un saluto, un po' di gentilezza, magari un sorriso, distendono il cuore dopo giorni di sguardi asettici e duri, silenzi pesanti e pesati.

Lascio la stazione, curioso mi reco a San Pietro, tanto per passare la mattinata in attesa del mio appuntamento con Roisin e Attila per il pranzo a Trastevere. La piazza è gremita di gente, pioviggina, curioso osservo i pellegrini. Provo stupore di fronte alle sfilate delle forze militari dello stato italiano le quali, armate fino ai denti e con tanto di mitra, portano i loro omaggi alla Chiesa Romana. Chiedo spiegazioni ad un sacerdote che a due passi da me segue la cerimonia con religioso silenzio. Sbaglio indirizzo, difatti il prelato inizia a elogiare le doti dell'arma e della guerra dai giusti ideali...

A mezzogiorno e un quarto sono al Largo di Torre Argentina. I due ungheresi ancora non arrivano, intanto vado a prendere un caffé al bar dietro l'angolo, offre un signore che ho conosciuto ieri in viale Castrense, a fare la doccia. Sulla sessantina, sibila mentre parla, gli mancano denti. A Natale tutti si ha voglia di festeggiare con qualcuno, di invitare qualcuno e di offrirgli qualcosa, fosse anche uno sconosciuto, fosse anche un caffé. Si è sempre un po' più soli nei giorni di festa.

Finalmente arrivano Attila e Roisin, con la loro inseparabile cagnetta nera, Angy, che inizia a saltare, scodinzolare e abbaiare appena mi vede. Il cielo è grigio, ma è un grigio leggero, fatato. Gocciola. Finalmente arriviamo alla basilica di Santa Maria in Trastevere. Nella piazza, intorno alla fontana un mare di gente che aspetta, in fila, di entrare. Ci viene dato un biglietto giallo, ci hanno assegnato il tavolo ventidue. Dopo non molto riusciamo ad entrare e ci sediamo ad un tavolo, che è subito dietro il portone d'ingresso, in fondo alla chiesa, sul lato destro. Inizialmente nemmeno ci rendiamo conto dell'atmosfera che si respira, intenti alla conta dei tavoli e alla scelta dei posti. D'un tratto, quasi simultaneamente, ci guardiamo negli occhi, commossi, non una parola, sorrisi. Il posto è meraviglioso. Devo dire che non mi era mai capitato finora di pranzare dentro una chiesa, è bello, mi piace, intanto da un punto di vista estetico. Ci sono una trentina di tavoli disposti a coppie lungo due file, dal portone all'altare, apparecchiati con estrema cura. Tovaglie rosso vermiglio, doppio piatto, menù su ogni tavolo. Un impianto stereo diffonde le note di musiche serene e soavi, canti di natale. Al resto ci pensano i quadri, le sculture di marmo, i mosaici dorati che illuminano d'oro tutto l'altare. Tavoli misti. Ci sono volontari, parenti, amici della Comunità di Sant'Egidio e c'è gente di strada, che per un giorno lascia fuori dalla porta i problemi e i turbamenti, per sentirsi più leggera, più degna e un po' più felice, per quanto effimero e folle possa sembrare. Stasera tornerà tutto uguale, ma intanto si mangia. Lasagne, puré di patate, lenticchie, arrosti, vino bianco dei castelli romani, dolci, mille sfoglie, panettoni e pandori. Regali. Alla fine del pasto per ognuno c'è un pacco. Lieta sorpresa. Kit di sopravvivenza. C'è una torcia a pile, una sciarpa, un berretto di lana, due o tre paia di calze invernali. Grazie. Roisin è commossa. Ringrazia me perché li ho invitati a venire.

La differenza principale tra questo pranzo e tutte le altre mense che ho visitato fin ora sta qui: nel clima di festa. Oggi si sente diffusa la voglia di stare bene, di non avere problemi, il clima è disteso, c'è musica e gioia. Intorno alla tavola si affievoliscono le differenze, si è tutti invitati, si è tutti seduti, fianco a fianco, si è tutti serviti. La tavola intesa come momento conviviale, costituisce una lezione di uguaglianza e dignità, oltre che di condivisione, del cibo, del vino e delle parole.

[ Tratto da "Roma senza fissa dimora", 25 dicembre 2004]

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