L'anno che verrà

In strada capodanno dura una manciata di minuti e finisce dopo pochi panini. Ci si ricorda che è san Silvestro perchè alla stazione Termini arrivata un'ondata di piena, una fiumana di persone arrivate nella capitale per festeggiare. E poi la sera del trentuno passano almeno quattro ronde di volontari con i panini, il thè caldo e qualcuno addirittura con lo spumante. Dal giorno dopo si ritorna sui passi stanchi con cui era finito l'anno prima.

Il primo siamo a cena in via Dandolo, alla Comunità di Sant'Egidio, io, Paolo, Gigi e Giancarlo. A Sant'Egidio si mangia bene e ci si sente bene, si è serviti e c'è un buon clima. Sembra davvero di essere al ristorante e c'è modo di mangiare con calma e socializzare, cosa che nelle altre mense manca decisamente. Mentre mangiamo Paolo si addormenta con la forchetta in bocca e con un gomito si rovescia un piatto di tagliatelle al ragù sui pantaloni. Lo svegliamo e ordiniamo un altro piatto chiedendo scusa e sforzandoci di tenerlo sveglio. Impresa da titani lottare contro gli effetti del Rivotril.

Si discute animatamente dell'esistenza di un'anima e della vita, dei pensieri e del tiro di dadi cui sembra giocare con cinico divertimento qualche dio minore. Strada facendo ci mettiamo a parlare con Paolo del suo problema con l'alcol. Ammette di essere alcolizzato e di non farcela a smettere. Già una volta ha provato la comunità di recupero, ma è stato solo l'ennesimo dei suoi fallimenti. Beve da molto. Gli hanno tolto i quattro figli proprio perché beveva. Lui ha reagito unicamente rincarando la dose.

C'è amicizia e sentito interesse nelle nostre parole. Senza dirlo ci intendiamo sul fatto che una buona amicizia sia fondamentale per togliersi da certi problemi ed impicci. Se Paolo ad esempio frequentasse una compagnia di bevitori, come tante se ne vedono in giro per strada, il suo problema non potrebbe che peggiorare e comunque non sarebbe avvertito nemmeno come tale se non in sempre più rari (e preziosi) momenti di lucidità.

Ieri è tornata anche Paola. Arriva verso le dieci di sera. Ha la faccia fasciata, è appena stata dimessa dall'Ortopedia. Naso rotto. Ieri l'altro, l'ultimo dell'anno, è andata a una festa, ha litigato con qualcuno ed è stata picchiata da qualche bullo del branco. Non è tutto. Paola è di nuovo in cinta. Ce lo dice stasera per la prima volta, con quel cappellino a cuffietta bianco e celeste. Storce il naso. Il primo bambino glielo hanno già tolto, stessa fine aspetta il nascituro. Il padre si è già defilato, come la nebbia al mattino che se ne va con la notte allo spuntare del sole. Povera Paola. É così buona ed ingenua, non sa stare al mondo, se la va sempre a cercare.

Aurelio, arriva poco dopo ed è in pessime condizioni. Aurelio, conosciuto semplicemente come il bresciano, avrà sì e no trentacinque anni, capelli lunghi fino alle spalle, castani con i colpi di sole. Alto un metro e sessanta, veste tipo un cowboy, stivali a punta, pantaloni aderenti, giacca marrone di pelle. É arrivato a Roma ormai da un mesetto. Deve aver combinato qualche grosso casino a Brescia, dove abitava, per trovarsi in queste condizioni e non prendere nemmeno in considerazione l'idea di tornare. É separato, non ha figli. Ha una fissa per la meditazione orientale e lo yoga, ma la sua persona è l'esatto contrario dell'armonia. É agitato, curioso, bonaccione, ingenuo e un po' pieno di sé. Stasera è inferocito. Minaccia Carmelo che gli dia subito i soldi della stecca di sigarette contrabbandate, made in Polonia, che gli ha venduto la scorsa settimana. Carmelo dice di non avere quei soldi. Aurelio urla, in mezzo al binario, afferra una bottiglia di rosso da una busta sopra la panchina e la scaraventa contro la carrozza del regionale per Firenze parcheggiato sui ferri fino a domani. Pezzi di vetro e macchie di vino cadono sui passi di increduli pendolari. Continua a gridare. Capiamo che è in astinenza, deve farsi della roba ma non ha soldi con sé e non può comprarla. I pusher non gli danno più niente a prestito perché deve ancora pagare vecchie partite. Sbuffa e continua a sbraitare agitando le mani per aria e aggiustandosi i capelli sporchi. Alla fine si allontana, poi ripassa e sparisce a passi affrettati. Deve avere rubato un portafoglio a qualcuno nel frattempo. Dopo non più di trenta minuti ritorna da noi. Ha gli occhi a spillo, la bocca piegata all'ingiù e funziona al rallentatore. Tranquillo come una pasqua, sedato, beve da un bicchiere di plastica, chiede come stiamo, non ricorda niente di quel che è successo un attimo prima, offre sigarette e un po' d'erba ad ognuno di noi.

Il bresciano si sta rovinando. Si sta mettendo in giri più grandi di lui, non tiene il passo, lo fregano di continuo. Si è infilato in losche partite di spaccio di droga, furti e contrabbando di sigarette importate illegalmente dalla Polonia e dalla Romania. Prima o poi lo fanno fuori, non sa fare affari, non è mai lucido per lavorare bene e anzi è convinto di poter fregare tutti comunque. Con certa gente meglio non scherzare. Già due volte in un mese l'han malmenato. Inoltre ha problemi anche con la vigilanza delle ferrovie. Infatti ha trovato una porta che si chiude male, proprio sul primo binario. Così ogni notte la apre di nascosto, forzando un po' la serratura, e si infila negli uffici del personale fs con un carrello carico delle sue valigie. Si rifà il letto e dorme fino a mattina. L'hanno già beccato più di una volta e invitato caldamente a cambiare abitudine, ma lui non ci vuole sentire da quella campana e continua imperterrito la sua personalissima sfida al potere… L'anno che verrà sembra assomigliare molto a quello appena chiuso.



[ Tratto da "Roma senza fissa dimora", 01 gennaio 2005]

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